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Ep.5 -Una bella storia che parte dalla Valsamoggia e arriva in Valsamoggia-

Episodio 5 -La torta di riso, il lunedì del villaggio, prima del martedì della fiera, a Savigno.

" Demaaaaaaa, (mia mamma) tee da di a cal doon cal vegnen dap mezdè, parchè la mateina an gla fag brisa.(x i non Bolognesi:"Dema, devi dire a quelle donne che vengano dopo mezzogiorno, perchè prima non riesco). Vers al dau, dau e mezz, brisa piò terd ah…. Mamaaaa, (mia nonnaTeresina e sua mamma) quand i’ariven, fag metter al rool sauvra la tevla che dap ag pains me! (verso le due, due e mezza, non più tardi eh mamma, quando arrivano fagli mettere le teglie sopra alla tavola che dopo ci penso io!) Mio babbo entrava in bottega, l’attraversava, deciso, per andare nel suo regno, occhiali scuri (da chi avrò preso io?) sul naso esploratore, capelli con brillantina, braghe corte e l’immancabile canottiera, indumento che brillava in tutte le stagioni.

All’orario prestabilito, ma spesso prima, perché noi mangiavamo su di un tavolone di legno nel laboratorio che, allora, fungeva anche da cucina, salotto, living, confessionale, chiacchieratoio, e chi più ne ha più ne metta, allora, arrivavano le arzdore, di fretta, quasi correndo, con le pentole piene di torta di riso ancora liquida, che rischiavano di far traboccare, pur di accaparrarsi i primi posti per la sua cottura preziosa. Ancora dovevano finire di riempire le “ruole” coi mestoli che sgocciolavano dalle pentole, che sentivi urlare “la miii, la mii l’è praunta Duardein, al la toja mo’! ”la mia, la mia è pronta, Edoardo, la prenda subito!

Mio padre, di natura nervosetta e all’apparenza burberina, per un po’ sopportava il cicaleccio frivolo ed insistente da mercato, anzi da fiera, che si creava nel forno, poi, non essendo lui un santo e dopo aver assistito anche a vere e proprie liti, mandava via, faticando, tutte le perpetue, dopo aver fatto loro depositare il liquido tesoro sopra il tavolo o sulle assi di legno, rassicurandole che avrebbe pensato lui, con l’aiuto di mia nonna, a riempire le innumerevoli teglie. Si trattava di centinaie di ruole, di diverse dimensioni e profondità, per cui, la cura era sceglierle rispettando il canone delle dimensioni e della quantità di liquido dolce che contenevano. Dietro, in fondo alla bocca del forno, le più grandi e capienti, davanti le più piccole, in modo da poterle manovrare e controllarne, più facilmente, il grado di cottura.

Io rimanevo sempre a bocca aperta perchè non ce n’era una uguale all’altra: all’esterno della teglia di alluminio o di rame, c’era scritto, in caratteri cubitali, a biro, il nome dell’autrice del capolavoro, per poterlo poi riconoscere, una volta cotto. E i colori…rimanevo impressionata da quelli… si spaziava da un indesiderabile beige, per toccare un rosa pallido dovuto a scarsità di alchermes, ad un rosa più intenso, merito di mani generose dello stesso liquore.…Dal rosa carico si passava al giallo: tenue, per il pallore e la pochezza delle uova, intenso per il vigore e la prodigalità dei frutti di galline nostrane. Ricordo che, alcune teglie, quelle delle ”ricche” che erano riuscite a riempirle con le loro mani prima che mio padre le “sollecitasse” ad andarsene, erano stracolme, strabordanti, non brodose, desiderabili, ricche anch’esse di canditi e mandorle tritate, ricche come le persone destinate a gustarle. Altre, quelle di chi a fatica si guadagnava la pagnotta, erano scarsine, basso il livello del contenuto rispetto al bordo, piene di riso e vuote di gusto, ma orgogliose! E io felice, in mezzo a tutte ste donne che conoscevo una ad una: c’era l’Alma, la Marina, la Martina, l'Antonietta, l'Ines, l'Enrica, la Maria, l’Ernestina, c’era la Clelia, l’Anna degli zuccherini, la Nora, la Prisca di Ivano, la Lauretta del rio, l'Adriana, la Lisetta, la Lina, la Luisa, c’era la Signora Lucia, la Renata, l’Agnese, la Signora Tea, la Marina, la Giulia, la Teresa del Mulinetto, la Carolina, c’era la Cesarina e la Fiora, c'erano anche due uomini, i fratelli Baraccani, Arnaldo e Pietro. Tutti, tutti agitatissimi ed ansiosi perché la tradizione voleva che ogni famiglia ospitasse un componente della banda, onde per cui ...la torta doveva essere necessariamente perfetta!

E Io, piccolina, assistevo a tutta’ sta vita vera, a questo ruspante desiderio di avere qualcosa di dolcissimo e speciale da presentare ai propri cari il giorno del dì di festa, un giorno magico, speciale, sognato, agognato in cui ci si sfogava, perché arrivavano le giostre (arrivano ancor’ oggi, ma lo spirito e il desiderio è diverso) e allora volavi col corpo e con l’anima e spendevi quelle poche lire che avevi accumulato e nascosto durante tutto l’anno, proprio per poter godere di quel girotondo festoso, ludico, spensierato, accogliente, caloroso Tutto. Un tutto troppo breve, però, perchè foriero di quella, allora, inadeguata, inappropriata scuola...

P.S: ai più giovani.

Non pensate che io abbia esagerato nella descrizione di quei momenti o che sia stata ridondante di aggettivi: no, proprio no, era proprio così!

E, come per tutte le cose, l'attesa era più intensa ed appagante della sua realizzazione.

….continua


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